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I progetti per la nuova città

Se i primi anni di consolidamento del regime non avevano portato a Parma interventi di particolare rilievo a livello urbanistico, il periodo che va dal 1927 allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale è contraddistinto da un nutrito numero di opere pubbliche che giungono a compimento e dai diversi piani regolatori e progetti che cercano di prefigurare l’immagine futura della città, seppure con schemi ancora legati a una visione limitata delle funzioni dell’organismo urbano e ancorati agli aspetti “monumentali” e formali viziati da dimensioni “fuori scala”. È tuttavia opportuno notare come, in questo periodo, grazie anche a cospicui interventi governativi, la città si dotò di una serie notevole di infrastrutture da lungo tempo attese e che tutti gli interventi di “risanamento” del tessuto urbano non costituirono
l’occasione per speculazioni di carattere edilizio, rispettando volumetrie e altezze preesistenti.

Il sospirato completamento del Lungoparma

Gli oggettivi scogli contro cui si era arenato il completamento del progetto del viale Lungoparma, concepito quale argine di protezione della città fin dall’epoca dell’inondazione del 1868 (1) e che aveva già visto il completamento dei viali Rustici nel 1899, Basetti nel 1901, Zanardelli (oggi IV novembre) nel 1903-1904 e Maria Luigia in sponda sinistra nel 1926, si sarebbero risolti tra il 1928 e il 1934 con la realizzazione degli ultimi due segmenti dell’importante arteria (2).

Secondo il progetto elaborato dall’Ufficio Tecnico del Comune, con criteri che oggi definiremmo urbanisticamente spregiudicati, si rendeva necessaria la demolizione di numerosi edifici, principalmente nella zona più prossima alla via Emilia.

Rimandando il completamento del viale tra  il Conservatorio e il ponte di Mezzo, in virtù delle complesse operazioni di esproprio necessarie, nel 1928 l’impresa parmigiana di Adalgiso Ottino completò il viale fra il ponte Verdi e il ponte di Mezzo, con la inevitabile demolizione di un’ala della Pilotta occupata dal Museo d’Antichità e delle storiche Beccherie (3) erette per volontà di Maria Luigia con la sistemazione di botteghe sottostanti al viale (4).

Al posto delle Beccherie, nello spazio sotto la sede stradale del nuovo viale – coerentemente intitolato a Mariotti – sorgeva un «grandioso Mercato Coperto»(5). Per tutta la lunghezza della piazza Ghiaia vennero ricavati, su progetto dell’arch. Ettore Leoni (1886-1968), locali ad uso commerciale.

Va sottolineato che l’operazione, dal punto di vista amministrativo, risultava decisamente innovativa (6). Infatti il Comune, con lo scopo di «provvedere degnamente all’estetica dell’importante zona cittadina, migliorando al tempo stesso un servizio importantissimo come quello del pubblico mercato con la dotazione di tutti gli occorrenti servizi» e, nel contempo, di «non portare ulteriori aggravi al bilancio del Comune colla contrazione di nuovi mutui»(7) aveva affidato l’intera operazione alla Società Anonima Costruzioni Esercizi Mercati (SACEM) che aveva presentato un progetto completo per la sistemazione e l’esercizio di piazza Ghiaia secondo le logiche del moderno Project Financing (8). Secondo il progetto iniziale, nella parte nord, oltre la doppia scala semi-circolare, doveva sorgere la Centrale del Latte. Ma questo secondo stralcio non venne realizzato perché lo spazio fu ritenuto insufficiente e la Centrale del Latte sarebbe stata così costruita dalla Cooperativa “La Nazione” di Sorbolo con la caratteristica struttura a ferro di cavallo e la ciminiera centrale nel 1933 su un’area più ampia, oltre lo Stradone, in via Torelli ove è rimasta attiva fino ad alcuni anni or sono (9).

Rimaneva, dunque, da compiersi il completamento del viale dalla via Emilia verso sud. Ciò che aveva fermato altri venne superato «con energia fascista» espropriando e demolendo l’intero lato ovest di via Romagnosi con le case che guardavano il greto del torrente. Il viale, intitolato nel 1927 (10) ad Arturo Toscanini, che nel vicino Conservatorio aveva compiuto i primi studi, e agibile dal ponte Caprazucca al Conservatorio, veniva aperto interamente al traffico nel 1934 dopo la demolizione delle case di via Romagnosi (11) e nel 1937 ribattezzato “Guglielmo Marconi”, spodestando provvisoriamente la dedica al grande Maestro, risultato inviso al regime.

Con l’ampliamento di via Mazzini, progettato, come vedremo, nel 1938 ma realizzato solo dopo la guerra, anche le case del lato est della via – ad eccezione della vecchia Pretura – sarebbero state demolite e sostituite da nuovi e incombenti edifici totalmente fuori scala.

Nel 1932, contestualmente al completamento del Lungoparma, veniva ampliato il ponte di Mezzo (12), che con le sue modeste dimensioni e la gobba a schiena d’asino, costituiva una strozzatura all’epoca ritenuta anacronistica lungo il tracciato della via Emilia. Progettato con cinque arcate di 18 metri di  luce e realizzato con rivestimenti in granito, dopo una gara che aveva visto ben ventidue imprese nazionali presentare propri progetti esecutivi (13), sotto la direzione dell’ingegner Sisto Dalla Rosa Prati, dall’impresa Ing. Aurelio Aureli Cementi Armati di Roma, che innestò i nuovi pilastri sulle precedenti fondazioni, venne inaugurato con solennità nel 1934 e ribattezzato “ponte Dux” (14), nome immediatamente riportato al più naturale e diffuso “ponte di Mezzo” dal Consiglio Comunale nel secondo dopoguerra.

L’intero tracciato del Lungoparma di destra, lungo poco più di 2.700 metri (15) e realizzato in fasi successive, poteva dirsi compiuto nel 1934 con un costo complessivo dell’opera, rivalutato a quella data (ed escluso il tratto ottocentesco fi-nanziato da   Maria Luigia), di 6.800.000 lire, di cui 5 milioni a carico del Comune, 1.200.000 dello Stato e 600.000 della Provincia.

Intanto, nel 1927, in Oltretorrente, appena al di là del ponte di Mezzo, era stato inaugurato il Monumento a Corridoni (16), che risolveva felicemente, dal punto di vista urbanistico, uno spazio complesso e che prefigurava l’intervento di risanamento messo in atto dal Comune a partire dall’anno successivo.

Il risanamento dell’Oltretorrente (1928-1936)

La situazione sanitaria dell’Oltretorrente cittadino, teatro delle ormai note gesta di carità di Padre Lino Maupas (17) per oltre un ventennio, era drammatica. L’assenza di fognature, la mancanza di servizi e di elettricità in molti borghi, l’angustia delle strade e la tipologia abitativa povera contribuivano a innalzare in maniera esponenziale la mortalità infantile e per malattie polmonari. Basterà citare i dati riportati su «Aurea Parma» (18) nel 1928: se nella città di Parma, nel suo complesso, la mortalità per tubercolosi era in media di 2,41 abitanti ogni mille, nei borghi Cappuccini, Carra e Corridoni dell’Oltretorrente raggiungeva la proporzione del 27,7 per mille e nel solo borgo delle Carra del 150,1 per mille.

Partendo da questi presupposti, il Comune varò un piano di risanamento (19) basato su alcune linee fondamentali: deviazione dei canali Cinghio e Naviglio Taro ancora a cielo aperto e costruzione di una nuova rete fognaria indipendente da quella esistente nell’area est della città; costruzione di nuove strade e abitazioni nelle zone ortive prossime a viale Vittoria, abbattimento dei quartieri più malsani (20) e creazione di nuove strade (21), più ampie e dotate di tutti i servizi (fognature, acqua, luce, gas…).

Il piano, partendo da quella strada della Salute impostata negli ultimi anni del Ducato, disegnava  il nuovo reticolo viario ortogonale predisposto per   allineare le numerose case popolari destinate ad accogliere gli abitanti dei borghi da demolire. In aree esterne al circuito urbano sarebbero stati costruiti  alloggi ultrapopolari provvisori per ospitare per tempi limitati gli sfollati.

Il podestà Mario Mantovani (1888-1972) così sintetizzava, sul quotidiano locale (22) nel novembre del 1928, il programma dei lavori:


1. La fognatura iniziata nel 1928 sarà ultimata nel 1932.
2. Gli espropri delle aree ortive dentro la cinta saranno
avvenuti nel 1928.
3. Gli espropri delle case si inizieranno nel 1928 e saranno
terminati nel 1934.
4. La costruzione di strade e servizi pubblici sulle aree ortive
sarà iniziata nel 1929 e ultimata nel 1930.
5. La costruzione di nuovi fabbricati da parte dell’Istituto Autonomo case Popolari si inizierà nello stesso anno 1929 e proseguirà nel 1930 coll’ultimazione di un primo lotto. Contemporaneamente potranno sorgere le prime costruzioni di privati già in possesso delle somme ottenute per causa di esproprio unitamente alle somme
mutuate presso la Cassa di Risparmio. E tali costruzioni dei privati potranno via via proseguire succedendo sempre agli espropri e precedendo l’abbattimento delle case
espropriate.
6. L’abbattimento delle prime case espropriate si inizierànel 1930, dopo cioè che saranno già sorte, nell’anno 1929, abitazioni di Enti e privati.
7. La costruzione di strade nuove su aree già occupate da case espropriate e abbattute si inizierà nel 1932, poiché soltanto allora larghi vuoti saranno stati creati nei quartieri da risanarsi.
8. La costruzione infine di case da parte di privati e di Enti sulle aree nuove, conquistate colla creazione di nuove strade intersecanti le zone già coperte da case, potrà iniziarsi così nel 1933 e proseguire fino ad esaurimento delle stesse aree.


Un programma di queste dimensioni coinvolgeva un terzo della superficie del quartiere e comportava investimenti inarrivabili per le finanze locali:
sei milioni di lire per i soli espropri; 28 milioni di investimento complessivo a lavori di ricostruzione ultimati (23). Per interessamento del Governo venne approvata una legge speciale (24) per il risanamento di Parma, finanziata direttamente dal Ministero del Tesoro. Alla costruzione dei nuovi alloggi provvidero il  Comune e l’Ente Autonomo Case Popolari, da poco istituito (25). I privati poterono godere di significativi incentivi, dall’acquisto dell’area a prezzo agevolato a un finanziamento convenzionato con la Cassa di Risparmio a tasso simbolico e ammortamento in quindici anni. A seguito della crisi finanziaria mondiale del 1930-32 e la conseguente svalutazione, vennero rafforzati gli incentivi, con concessione gratuita delle aree, esonero dalle imposte sui materiali da costruzione e altre agevolazioni.

Nel 1936 un bilancio degli interventi messi in atto poteva così riassumersi:


– vecchie strade cancellate per un totale di 13.700 mq
– nuove strade costruite per un totale di 53.000 mq
– vecchie case demolite per un totale di 250.000 mq
– nuove costruzioni per un totale di 450.000 mq
– alloggi costruiti dagli enti pubblici 1.002 per 1.865 vani
– alloggi costruiti da privati 1.661 per 8.837 vani
– totale alloggi costruiti 2.663 per un totale di 10.702 vani


Per una corretta lettura di questi dati è opportuno ricordare che, al censimento del 1931, gli abitanti di Parma nel complesso assommavano a 71.282 e che, in assenza di rilievi puntuali, la popolazione dell’Oltretorrente era stimata in circa 30.000 abitanti riuniti in 7-8.000 famiglie. Il piano coinvolse quindi circa il 30% della popolazione.

L’esecuzione di questo ampio programma comportò, per la gestione delle tempistiche costruttive, anche la ultrapopolari – i cosiddetti “Capannoni” – nelle zone di via Venezia, via Verona e via Toscana, del Paullo, del Cornocchio, del Castelletto e di via Navetta per un totale di 27 fabbricati e 875 vani mediamente di 25 mq ciascuno (26). I fabbricati, progettati dall’ing. Giovanni Uccelli, capo dell’ufficio tecnico comunale, erano volutamente assai spartani per favorire il rientro degli abitanti nelle nuove costruzioni dell’Oltretorrente non appena possibile e consentirne così la demolizione a lavori ultimati. In realtà ciò non accadde anche a causa dell’arrivo progressivo, dalla provincia, di nuovi inurbati che vi potevano trovare alloggio con modestissima spesa così che i Capannoni sarebbero stati ancora utilizzati nel dopoguerra, ormai fatiscenti per l’incuria e il passare del tempo, per essere demoliti completamente solo alla fine degli anni Sessanta del Novecento.

Contestualmente al piano per l’Oltretorrente, è da ricordare la realizzazione, tra il 1928 e il 1935, delle case popolari poste in viale delle Rimembranze e in via Solari, destinate ad assorbire in parte gli abitanti dei borghi oltretorrentini.

Diversi storici hanno letto in questa operazione un intervento “punitivo” del regime che avrebbe “deportato” quella popolazione che aveva saputo opporsi nel 1922, con le barricate, all’avvento del Fascismo (27). In realtà quella popolazione (solo il 30% del totale) fece in buona parte ritorno in Oltretorrente a lavori ultimati con una situazione igienica e ambientale totalmente mutata (28). In questo senso vi è chi, al contrario, ha letto nell’operazione una ricerca di consenso da parte del Fascismo, in un quartiere considerato pericoloso, migliorandone le condizioni di vita e il benessere degli abitanti, per indebolirne il potenziale “sovversivo” (29).

Ci pare più corretto valutare dal punto di vista tecnico e progettuale l’intervento, inserendolo nella mentalità e nella cultura del periodo e considerando le tecnologie costruttive disponibili all’epoca. Se infatti è indubitabile che un tale programma abbia per sempre cancellato il reticolo medievale di alcune aree    (sovrapponendovi un tracciato viario non coerente e fuori scala) salvabile se solo gli amministratori avessero preferito la costruzione di nuovi quartieri oltre il perimetro della città storica, risulta impensabile un recupero conservativo del patrimonio edilizio degradato con le tecniche dell’epoca. E in ogni caso la mentalità operativa di quegli anni – diffusa in tutto il Paese – non aveva ancora messo a fuoco quelle logiche di conservazione dei centri storici che solo in epoca assai recente sono state maturate. Va peraltro dato atto agli amministratori che, per la prima volta, la progettazione era stata preceduta da un’attenta analisi igienico-sanitaria e che la realizzazione aveva privilegiato un indice di edificabilità limitato con ampi spazi verdi racchiusi dagli isolati, non cedendo alle speculazioni edilizie.

I servizi e le infrastrutture per la città

È indubitabile che durante il periodo in oggetto l’Amministrazione Comunale si impegnò fortemente per la realizzazione o l’ammodernamento di numerose infrastrutture cittadine, dal sospirato ampliamento della Stazione Ferroviaria (30) progettato fin dal 1927 e attuato nel 1930, all’albergo diurno sorto per iniziativa di Cleopatro Cobianchi (31) nel sottosuolo della piazza Garibaldi nel 1929, all’integrazione e completamento della fognatura di Parma (32), al potenziamento
dell’acquedotto cittadino, con la costruzione, nel 1930, del “fungo” di Barriera Bixio (33), strumenti essenziali per il risanamento del quartiere.

A partire dal 1930, con l’aumento della popolazione e dei consumi idrici, il Comune dovette ricorrere a nuovi impianti per la captazione delle acque, perforati in vari punti del centro urbano e della periferia, allacciandoli alla rete dell’acquedotto cittadino. Sarebbero così sorte le stazioni di  pompaggio e sollevamento di via Firenze e via Solari. I due pozzi di via Firenze, perforati in località Mulini Bassi con una trivellazione di oltre 100 metri di profondità, avevano fornito acque limpide e particolarmente copiose (oltre 100 litri al minuto) che venivano pompate in superficie e immesse in una lunga condotta – costituita da tubi di ghisa centrifugata di 450 mm di diametro forniti dalla Ditta Franchi e Gregorini e fusi nelle officine di  Sant’Eustachio, presso Brescia – che, percorrendo via Trento, viale Bottego, viale Toschi, piazza Ghiaia, superava il ponte di Mezzo per giungere, con un tubo da 400 mm steso lungo via Bixio al serbatoio “fungo” di via Solari (34). Quest’ultimo, costruito tra il 1929 e il 1930 nella sottile area triangolare compresa tra via Solari e viale della Villetta, su progetto del valente ingegnere e impresario edile Ugo Pescatori (1893-1972), autore, fra l’altro, anche dell’acquedotto di Colorno, venne ufficialmente inaugurato il  28 ottobre 1930 alla presenza del prefetto Eolo Rebua (1878-1959) e del vescovo, mons. Guido Maria Conforti (1865-1931) e fino ai primi anni Cinquanta del Novecento dominava incontrastato il panorama dell’Oltretorrente con i suoi 38 metri di altezza. Da ricordare poi che il servizio dell’acquedotto cittadino gestito in economia fino a quel momento, il 28 aprile 1937, con atto del Podestà Mario Mantovani, veniva trasformato in Azienda Autonoma a norma della Legge sulle Municipalizzazioni, con amministrazione e bilancio autonomi, e che con il 1° gennaio 1938 aveva inizio la vita della nuova Azienda Municipalizzata.

Allo stesso periodo (1930) si deve la costruzione del “Ponte Nuovo” (35) di piazzale Fiume che consentiva di raggiungere agevolmente il nuovo quartiere di case popolari realizzato in via Po.

Tutte opere essenziali, al di là della retorica che ne aveva accompagnato l’inaugurazione, per la corretta gestione urbana, come il servizio di nettezza urbana
rivoluzionato nel 1931, dopo anni di interventi parziali (36).

Un innovativo servizio di raccolta dei rifiuti urbani

Il nuovo impianto (37) poneva Parma all’avanguardia nel settore in Italia, grazie all’adozione del sistema progettato dalla FIAT, che prevedeva l’impiego di recipienti metallici cilindrici, assegnati  agli utenti del centro urbano, per il cui trasporto erano adibiti veicoli (inizialmente quattro, poi sei) a trazione elettrica, per non “sporcare pulendo”. I bidoni, sigillati con coperchi in gomma a tenuta, venivano trasportati presso il nuovo impianto, sorto su un’area di 4.100 mq oltre il limite nord del Parco Ducale, su viale Piacenza, a fianco del Frigorifero Parmense. Qui si trovavano i nuovi e appositi fabbricati per gli uffici, l’autofficina e, distaccati, gli  edifici per l’impianto della vuotatura, la lavatura e la disinfezione dei recipienti e il trasporto della spazzatura nella camera di carico dove, con mezzi cassonati e capienti, era destinata al deposito generale di raccolta per la formazione del concime.


Il restante terreno [previsto per futuri ampliamenti, come ricorda una memoria dell’epoca] è stato coltivato in parte  a giardino, in parte ad orto, per modo che chi entra nello   stabilimento rimane stupito della perfetta pulizia, dell’assenza completa di ogni fetore, e soprattutto di trovarsi nel   luogo centrale di raccolta delle spazzature giornaliere di una grande città (38).


La nuova struttura e la puntuale organizzazione potevano essere considerate le migliori dell’epoca (39), soprattutto dal punto di vista igienico-sanitario, tanto che una trentina di comuni l’adottarono in Italia e Parma la riconfermò, ampliandola e migliorandola.

Il Piano Regolatore del 1933-1938

Il 23 gennaio 1933 veniva approvata la delibera di istituzione di una “Commissione straordinaria di urbanistica” (40) per lo studio del piano regolatore  della città (41) impegnata nella revisione dei precedenti piani urbanistici e nello studio della sistemazione di zone critiche della città e del suburbio. Insediatasi nel febbraio dell’anno successivo, in meno di sei mesi la Commissione concludeva i suoi lavori il 30 luglio 1934 presentando una relazione approvata all’unanimità dalla Consulta municipale.

I punti più complessi, fra i 18 affrontati, riguardavano l’ampliamento di via Mazzini, il prolungamento di via Roma (l’attuale via Verdi), l’abbattimento della spina di case fra borgo del Correggio e il fianco di San Giovanni, oltre a una serie di demolizioni e rettifiche viarie nel centro storico – da piazzale Boito a piazzale del Carmine, dall’imbocco di via Farini a piazzale Corridoni – che ripropongono, in sostanza, le linee guida del piano Mariotti del 1894 nella parte relativa al risanamento di isolati degradati nel centro cittadino, ma toccano anche alcune zone esterne al centro storico, come le aree circostanti la Cittadella, i Molini Bassi, il settore fra la via Spezia e l’ospedale, il comparto a nord dell’Ospedale (Prati Bocchi), l’espansione del Cimitero (42) e dell’Ospedale.


Giudicata in blocco l’operazione segue la traccia di un’unica direttrice: modificare la libera e mossa trama del tessuto viario con perentori tagli rettilinei, vivisezionando spazi   urbani formatisi nel tempo a misura d’uomo, col risultato di alterarne grossolanamente la fisionomia, dopo averne falsato arbitrariamente i parametri fondamentali (43).


L’attuazione del piano (44), in realtà povero di contenuti ma ambizioso nel programma, venne fortunatamente rallentata e ostacolata dalla scarsità delle risorse finanziarie e solo una parte degli interventi (45) venne attuata (piazzale Boito, Carmine), mentre i progetti più impegnativi, come l’ampliamento di via Mazzini, per il quale l’ingegner Gino Robuschi aveva sviluppato ipotesi, o il prolungamento di via Roma, verranno ripresi solo nel dopoguerra.

Per quanto riguarda invece le zone periferiche fu prevista un’espansione indifferenziata a macchia d’olio dell’organismo urbano, senza delineare desti nazioni d’uso specifiche o vincoli per i servizi (asili, scuole, chiese, edifici pubblici). Aree di rispetto erano previste solo per l’Ospedale e il deposito dei mezzi pubblici e un vincolo era stato posto sul Parco e sulla zona a nord del Palazzo Ducale. Unico merito da ascrivere al piano è la modesta cubatura delle  abitazioni previste nella zona sud intorno alla Cittadella, anche se non venne purtroppo preservata la  zona della fossa intorno alla fortezza.

Altri interventi edilizi

La Casa del Balilla e la piscina di viale Rustici

Dopo l’avvento del Fascismo, nel 1926 era stata costituita l’Opera Nazionale Balilla (ONB), destinata a curare l’educazione fisica e sportiva delle giovani   generazioni, dotata di struttura e sedi proprie (46).

Anche a Parma l’Amministrazione Comunale si preoccupò di reperire un edificio adeguato alle esigenze locali. Sarebbe così sorta la “Casa del Balilla”, inaugurata nel 1934 e formata da palestre, campi da gioco, uffici, teatro e vasca natatoria con trampolino per tuffi , la cui storia è stata ben documentata dagli alunni della scuola media statale “Don Cavalli” che  in quell’edificio oggi ha sede (47).

Dopo una prima ipotesi di realizzazione della struttura nell’area compresa tra borgo del Correggio  e via Petrarca, valutata troppo sacrificata e in seguito utilizzata per la costruzione della sede femminile della GIL, il Comune di Parma e il Comitato Provinciale dell’Opera Nazionale Balilla individuarono un vasto appezzamento dell’ex Piazza d’Armi, lottizzata proprio in quegli anni, dell’estensione di 5.430 mq, delimitato dal Lungoparma Giovanni Rustici, dalle vie Pozzuolo del Friuli e Giuseppe Rondizzoni e dal piazzale Alessandro Volta, posto a 22 metri dal muraglione di sponda del torrente con un fronte di  circa 60 m e una lunghezza di oltre 80 m.

Il Podestà incaricava l’ing. Giovanni Uccelli, responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, di redigere un progetto, approvato dopo numerose varianti e valutazioni della Presidenza Centrale dell’Opera, nel giugno 1933. Per la definizione dei prospetti esterni e per le decorazioni, sarebbe intervenuto l’architetto parmigiano Leone Carmignani (1902-1958), dopo che un secondo progetto dell’architetto Robuschi e dell’ingegner Rossini era stato scartato (48).

Il Comune di Parma, oltre alla donazione del terreno, si sarebbe assunto l’onere del progetto (49) e della costruzione dell’opera con un notevole contributo finanziario, mentre altri enti cittadini, fra cui la Provincia e la Cassa di Risparmio, avrebbero contribuito in misura minore. La Presidenza Centrale dell’ONB, per parte sua, aveva deliberato un contributo di 375.000 lire, pari a circa il 45% del costo dell’opera, stimato in 830.000 lire.

I lavori, assegnati alla ditta Rampini di Parma e iniziati il 21 agosto 1933, dovevano essere terminati entro il 5 aprile 1934. In realtà, a causa delle abbondanti nevicate, vennero sospesi dal 13 dicembre 1933 al 12 febbraio e il termine di consegna slittava al 20 giugno 1934. Ma avendo nel marzo del 1934 deciso di ricavare nei locali del seminterrato una  cucina, un refettorio e un magazzino, la diversa disposizione della piscina (non più perpendicolare al Lungoparma, come in origine, ma parallela al viale) e l’abbassamento di quota dei campi da gioco, che venivano ora a trovarsi racchiusi tra la piscina e il corpo edificato, veniva concessa all’impresa una proroga fino al 20 agosto e successivamente al 20 ottobre 1934, per essere solennemente inaugurato l’indomani dall’onorevole Renato Ricci, Presidente Centrale  dell’ONB, giunto appositamente da Roma (50).

L’edificio [come ricorda il «Corriere Emiliano» del 21 ottobre 1934 in una intera pagina dedicata al complesso] consiste essenzialmente in quattro parti ben distinte: il corpo degli uffici, che occupano su due piani la parte prospiciente il piazzale Volta; la parte sportiva propriamente detta, nell’ala Nord; la sala spettacoli nell’ala Sud ed infine  la piscina prospiciente il viale Rustici; tra questi il campo da gioco. L’ingresso principale è ricavato alla base di una quadrata torre che domina la zona di villini circostanti, e serve per accedere direttamente al corpo degli uffici, al campo di gioco e alla parte sportiva. […] La torre è adibita al secondo piano per uffici, mentre al terzo è sistemato l’alloggio del custode. La parte sportiva comprende la grande palestra di metri 20 x 12, completa di tutti gli attrezzi regolamentari, una sala di scherma prospiciente il piazzale Volta e, tra queste, i servizi muniti di spogliatoi, docce, servizi igienici, ecc. All’estremo Ovest della palestra, una scala permette di accedere ad una galleria affacciantesi nella palestra stessa: trovano sede al di sotto di questa una saletta per l’istruttore e un locale di pronto soccorso, direttamente accessibile anche dal campo da gioco. La vasca [dell’ampia piscina, di complessivi metri 50 x 15] ha una fossa per i tuffi di metri 17 x 9 e della profondità di metri 4,50; nella parte restante la sua profondità varia da metri 1,40 a 1,70 […] con una capacità di 1750 metri cubi (51).

La zona, coperta dalle tribune all’aperto da 200 posti, e adibita a spogliatoi e locali tecnici e di servizio, era di 420 mq. Si apriva, nella parte centrale, con tre ampi portoni d’ingresso comunicanti con viale Rustici, sormontati da un triplo alzabandiera (52). La vasca della piscina era stata rivestita di piastrelle, fornite dalla ditta Battioni, mentre la parte “balneare” era stata verniciata dalla ditta Giordani con Tenaxite, una speciale pittura impermeabile per esterni. La ditta Innocenti aveva realizzato il trampolino, dotato di tavoloni di larice e di ringhiere in ferro fornite  dall’Officina Bertozzi e C. di via Fornovo.

L’attività «di educazione morale e fisica» organizzata dall’Opera Nazionale Balilla proseguirà fino  alla Seconda Guerra Mondiale. Il complesso, saccheggiato l’8 settembre dagli abitanti del quartiere che distribuirono le scorte alimentari ivi accantonate, verrà subito dopo requisito dal Comando Militare tedesco. Con la fi ne della guerra verrà chiamato “Casa della Gioventù Italiana” e trasferito in carico alla GI, un ente creato per liquidare i beni appartenuti alle associazioni del disciolto Partito Fascista. Dopo alcuni anni passerà in proprietà al Comune di Parma, che nella parte centrale del complesso collocherà vari istituti scolastici secondo le necessità del momento. Il teatro, ribattezzato “Cinema Astra”, riprenderà la sua attività con programmazione di cicli d’essai, nonché di un’apprezzata “Arena estiva”, curati dall’Assessorato alla Cultura del Comune, mentre la piscina, gestita dal CONI a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, resterà in funzione, nel solo periodo estivo, fino all’estate del 1999. Nel 2000 un nuovo e moderno complesso, realizzato dal Comune di Parma a Moletolo, nella periferia Nord della città, decreterà la chiusura definitiva del glorioso impianto natatorio, non senza qualche rimpianto nostalgico dei più affezionati, per dare spazio, dopo importanti lavori di ammodernamento, a un centro ginnico e sportivo inaugurato nel 2010.

Nell’aprile del 1935 venivano conclusi i lavori agli interni e all’ala ovest del Palazzo del Governatore, trasformato, secondo i dettami del gusto Déco e della monumentalità di regime per accogliere la sede della Federazione Fascista cittadina (53). Qui, in una zona del primo piano che ospitava la Federazione dei fasci di combattimento e gli uffici centrali, tra cui la confederazione sindacati dei professionisti e degli artisti, venne collocata una copia in scala 1:1 in marmo di Carrara della Pietà di Michelangelo, a corollario del Sacrario dei Martiri (54). L’ambiente, rivestito di lastre di marmo scuro, con incisi i nomi dei caduti, era collegato al grande salone d’ingresso cui si accedeva dall’ampio scalone. La copia della Pietà, rimossa nel 1944 per preservarla dai bombardamenti, venne ricoverata nei magazzini della Pilotta dove rimase fino al 1955, anno in cui veniva collocata nell’atrio dell’Aula Magna dell’istituto d’arte “Paolo Toschi” di Parma dove tutt’ora si trova.

Gli archivi della Banca Commerciale Italiana

Il 28 settembre 1939 la Banca Commerciale Italiana acquisiva a Parma il complesso di Villa Ombrosa (55), tipico “casino” di campagna parmigiano posto al capo ovest del ponte Dattaro (all’epoca ben fuori dal perimetro urbano), comprendente oltre alla villa, anche l’ampio parco, per realizzarvi, in vista dell’imminente conflitto bellico che si profilava all’orizzonte, una sede defilata e “sicura” per gli archivi della banca (56).

Quello stesso anno il trentino Gigiotti Zanini (1893-1962), noto per l’attività, oltre che di pittore, anche di architetto per le ville Faccincani (1923) e Castelbarco (1926), per lo stabilimento Erba   (1928-1929), il quartiere Moscova, l’edificio di piazza Duse a Milano e la ristrutturazione delle sedi di Genova e di Firenze della Banca Commerciale (tutte opere degli anni Trenta), era stato prescelto dal Consiglio di Amministrazione della Banca per la trasformazione dell’area e la costruzione del nuovo complesso del Centro Contabile Comit a Parma.

I lavori, iniziati nell’ottobre 1939 dall’impresa BALFRA (Ballarini-Frascoli Costruzioni S.p.A.) si conclusero nel giro di due anni e il Centro Contabile della Banca Commerciale, comprendente l’ingresso monumentale all’estremità del ponte, il lungo edificio degli archivi prospettante via Po e il complesso della villa, internamente trasformato, veniva inaugurato il 28 ottobre 1941 da Enrico Righi, Condirettore Generale dell’Istituto (57). Il vasto complesso, pur riprendendo la sintassi monumentale dell’edilizia del periodo, la ripropone in maniera sobria e quasi “pittorica” grazie al personalissimo intervento di Gigiotti Zanini, che verrà chiamato nel dopoguerra a progettare, sui resti del palazzo Bondani in piazza Garibaldi, anche la sede cittadina dell’Istituto. Oggi la struttura, completata da moderne costruzioni realizzate negli anni Novanta del Novecento nelle aree libere del parco, è ancora di proprietà dell’Istituto bancario e funzionale.

Le istituzioni legate al comparto agro-alimentare

Fra gli interventi pubblici dell’ultimo scorcio del ventennio sono da ricordare la massiccia costruzione della Casa dell’Agricoltore (1939), sull’area residua dell’ex convento di Sant’Alessandro, prospettante piazzale Barezzi, sorta su progetto dell’ingegner Ottone Terzi (58) grazie all’impegno di Guido Marasini (1884-1951) e portata a compimento solo nel 1955; la nuova sede dei laboratori della Stazione Sperimentale delle Conserve, già attiva dal 1922 in viale Tanara; il Caseificio Scuola, poi Centro Lattiero Caseario (1939); il Padiglione per la Mostra delle Conserve (1939).

Il Centro Lattiero Caseario, sorto in via Torelli – non lontano dalla Centrale del Latte – nel 1939 con fondi originariamente destinati alla Libia, era stato costituito per il miglioramento tecnico delle maestranze e si occupò di assistenza tecnica e di corsi di formazione professionale per casari (59). Rapidamente però l’assistenza tecnica ai caseifici divenne l’attività principale, data anche la carenza dell’assistenza analitica dei privati in quel tempo. Con lo sviluppo tecnico, economico e commerciale degli anni Trenta, la necessità di avere un centro di assistenza dotato di solide basi scientifiche era sentita come una necessità ormai improrogabile.

Con un cammino parallelo venivano a concretizzarsi progetti importanti anche nel settore delle conserve vegetali di pomodoro. Nel corso degli anni Trenta l’industria conserviera italiana aveva attraversato una notevole fase di espansione. Era tuttavia necessario radicare, in Italia e all’estero, una maggior fiducia nelle conserve e insieme mettere in grado i produttori di aggiornarsi al miglior livello scientifico e tecnico. Maturò così l’idea di un Ente che svolgesse queste funzioni, soprattutto attraverso il formidabile strumento di una mostra annuale, luogo privilegiato per l’incontro e lo scambio delle esperienze più avanzate, sia sul versante tecnologico che su quello alimentare (60).

Sarebbe stata la Stazione Sperimentale, attraverso il lavoro del suo primo direttore, Francesco Emanuele (1896-1976) (61), a promuovere questa idea presso le amministrazioni pubbliche, a guadagnare il consenso del Comune di Parma – che attraverso il podestà, Mario Mantovani, aveva accolto con entusiasmo la proposta, mettendo a disposizione l’area nord del Parco Ducale –, dell’Amministrazione Provinciale, del Consiglio delle Corporazioni (la gloriosa Camera di Commercio) e degli Industriali Conservieri e a far redigere nel 1935 – d’intesa col Comune – all’architetto Gino Robuschi (1893-1969) un primo progetto, fino ad oggi sconosciuto, conservato presso lo Csac dell’Università di Parma. Lo sforzo progettuale, certamente razionale e funzionale, si sarebbe però scontrato con le scarse risorse economiche. Accantonati così i primi studi, la Stazione si impegnò a cercare sostegni a livello nazionale. Finalmente il 15 maggio 1939 usciva il decreto di costituzione con relativo statuto. Mario Mantovani ne era il primo presidente; segretario generale, addetto alla realizzazione della Mostra, era stato nominato, nel 1940, Francesco Emanuele, ideatore del progetto.

Fin dal 1939 il Comune aveva intrapreso, nella zona nord del Parco Ducale, la costruzione del caratteristico edificio a linee neoclassiche progettato e costruito ancora una volta dall’ingegner Ugo Pescatori, poi denominato Padiglione A, ma la consegna all’Ente ritardò fino al gennaio 1941(62). Solo allora fu possibile organizzare dal 18 maggio al 1° giugno una mostra speciale, la “Mostra Autarchica per scatole ed imballaggi per conserve alimentari”, tema che si connetteva alle esigenze belliche e più in generale all’economia autarchica dell’epoca.

Su suggerimento degli stessi espositori, la manifestazione del ’42 avrebbe abbracciato tutto il complesso dell’industria, dalla materia prima ai prodotti, alle macchine, agli imballaggi. La nuova iniziativa parmense realizzava così due aspetti che sarebbero divenuti i suoi punti di forza nei decenni seguenti: l’unicità («unica al mondo» verrà definita nel 1942) nell’ambito conserviero e un orizzonte comprensivo dell’intero ciclo, dalla produzione agricola alla commercializzazione.

La manifestazione, che prese il nome di Prima Mostra delle Conserve Alimentari, si tenne, dopo vari rinvii, dal 1° al 20 settembre 1942, dando così inizio alla tradizione settembrina.

In un panorama fieristico dominato dalle grandi campionarie e da una miriade di mostre mercato più o meno generiche, quella di Parma si proponeva quindi come un nuovo tipo di mostra, basata sulla specializzazione, che nel dopoguerra avrebbe fatto scuola.

Passati i giorni terribili della guerra, alla metà degli anni Cinquanta, la Mostra poteva a buon diritto definirsi «uno spettacolare panorama internazionale di nuovi sviluppi e perfezionamenti tecnici», che avrebbe costituito le basi per il decollo delle Fiere di Parma e per la nascita, nel 1985, del moderno Cibus, ospitato nel nuovo quartiere fieristico lungo l’Autostrada del Sole.

L’entrata in guerra del Paese fermerà, sostanzialmente, ogni progetto. I bombardamenti alleati del 1944, al di là del loro indelebile carico di morte e distruzione, arrecheranno danni ingenti anche al patrimonio artistico e architettonico della città e apriranno profondi varchi e cicatrici nel tessuto urbano del centro storico (63).

La ricostruzione, con le sue urgenze ed esigenze contingenti, non saprà cogliere il valore dell’organismo urbano nel suo complesso e il piccone amplierà ulteriormente i varchi aperti dalle bombe. Così in definitiva la logica del “demolire per ricostruire” continuerà a informare i numerosi progetti dell’anteguerra ripresi e riproposti negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.

NOTE

1. Cfr. G. GONIZZI, Parma: dal 1877 alla fine del secolo. Le trasformazioni   urbane, in Uno sguardo oltre le mura, Bologna, Clueb, 2006, pp. 144-145.

2. Cfr. Il Lungoparma, «Il Popolo di Parma», 7 novembre 1925, p. 3; Il Lungoparma e la chiesa di San Quirino, «Aurea Parma», 18 (1934), 1, p. 41; I viali lungo Parma, «Crisopoli», n. 6, 1934, pp. 553-555; G. MONTANARI, Il Lungoparma, «Gazzetta di Parma», 23 aprile 1950, p. 3.

3. «Con la scusa di completare l’ultimo tratto di Lungoparma, secondo  il piano già predisposto dal Sindaco Giovanni Mariotti, il Podestà Mario Mantovani trovò modo, nel clima dei tempi, di condurre a termine i vecchi ideali picconieri. Nei caffè del centro l’argomento venne dibattuto per mesi. Gli artisti più noti di Parma soffiavano da tempo sul fuoco nel tentativo di rinviare l’inutile distruzione, ormai in via d’attuazione. Sotto l’insistente pressione di Paolo Baratta  (1874-1940), Latino Barilli (1883-1961), Aristide Foà (1876-1965), don Giovanni Drei (1881-1950) e altri intellettuali parmensi, l’architetto Mario Bacciocchi (1902-1974) studiava in una notte, tra le pareti fumose del Caffè Centrale, un progetto di ripristino della Ghiaia basato sulla conservazione delle Beccherie. L’aggiunta di un sagrato sopraelevato, parallelo al porticato e caratterizzato da una serie di elementi monumentali marmorei quali un’Ara dedicata ai Caduti e un obelisco, avrebbe dato al complesso un carattere di grandiosità sul tipo della romana Piazza Navona. Ma il progetto, obiettivamente valido soltanto sul piano del restauro conservativo, nonostante i suoi retorici richiami di stampo imperiale in linea con gli ideali del nuovo regime, non fu attuato. E mentre si acutizzavano con toni sempre più aspri interminabili polemiche giornalistiche, il bel colonnato fu spazzato via, e in un polverìo di calcinacci crollò il primo lembo di Parma neoclassica». In un primo tempo s’era pure ottenuta la sospensione dei lavori di demolizione e il Ministero della Pubblica Istruzione aveva «posto il veto [così si legge nel terzo numero della rivista «Cronache d’Arte» del 1928] alla decretata demolizione delle Beccherie fatte costruire a Parma da Maria Luigia, Duchessa di Parma, negli anni 1836-37 con un superbo colonnato di Nicola Bettoli; questo colonnato è la più sapiente costruzione neoclassica di tutta l’Emilia». Ma anche questo tentativo fu vano e il bel colonnato fu  condannato all’oblio. A demolizione avvenuta cominciarono, come consuetudine, i rimpianti, quando ormai la Ghiaia aveva perduto per sempre il centro della sua bellezza.

4. A. EMANUELLI, La Piazza della Ghiaia, «Corriere Emiliano», 5 luglio 1928, p. 3.

5. G. SITTI, Parma nel nome delle sue strade, Parma, Fresching, 1929, p. 92.

6. Sulla sistemazione di piazza Ghiaia cfr. ASCPR, C. Comunale 10 aprile 1928, n. 1; Consulta 4 giugno 1928, n. 5; C. Comunale 4 aprile 1929, n. 1; 5 maggio 1929, n. 4; 27 settembre 1929, n. 2; 24 gennaio 1930, n. 1; 19 giugno 1931, n. 14; 18 luglio 1931, n. 5.

7. ASCPR, Deliberazione del Podestà 10.IV.1928. Demolizione Beccherie.

8. Al Comune sarebbero spettati gli oneri di espropriazione delle case poste fra via Mazzini e le vecchie Beccherie e fra queste e la   Pilotta e l’impianto delle tubature per l’acqua potabile e per le fogne. La SACEM, dal canto suo, si impegnava a eseguire le demolizioni delle case espropriate; il completamento delle botteghe sottostanti    il Lungoparma e le opere ornamentali, compresa una fontana; l’allargamento della scalinata di accesso da via Mazzini; la costruzione di una nuova scalinata all’altra estremità della piazza per collegarla con il Lungoparma; la costruzione di pensiline in metallo, per una lunghezza complessiva di 150 metri, da farsi anche progressivamente, e chiudibili a box a richiesta dei commercianti. Il costo preventivato dell’intera operazione di 2.080.000 lire era a totale carico della SACEM, che concorreva alle spese di esproprio con la somma di 550.000 lire, rimanendo proprietaria dell’area fabbricabile di una delle case abbattute, previo pagamento di 30.000 lire, con la possibilità di costruirvi un fabbricato ad uso civile regolarmente autorizzato dal Comune. Inoltre la SACEM chiedeva la cessione, per la durata di 25 anni, delle entrate relative alle tasse di occupazione delle aree di
piazza Ghiaia e degli affitti delle botteghe sottostanti il Lungoparma, secondo tariffe massime concordate con l’Amministrazione Comunale. L’accordo, in sé vantaggioso per il Comune, che avrebbe speso di più contraendo un nuovo mutuo in un momento particolarmente impegnativo (costruzione del Lungoparma Mariotti, nuovo ponte di Mezzo, nuovo acquedotto a Barriera Bixio…), avrebbe portato,  con alcuni aggiustamenti, alla realizzazione della nuova piazza del mercato e alla costruzione del vasto edificio di 540 mq con cubatura di 12.000 mc (che restava di proprietà SACEM) destinato a divenire il fondale Nord dell’area (C. Comunale 4.IV.1929, n. 1; 27.IX.1929, n. 2; 24.I.1930, n. 1; 19.VI.1931, n. 14) e si configura, quindi, come una mascherata speculazione edilizia. Inoltre, poiché con l’erezione del grande edificio, oggi noto come Palazzo Medioli, era stato eliminato il raccordo viario diretto fra il Lungoparma e la piazza, ceduto alla SACEM come “relitto stradale”, il 18 luglio 1931 il Comune deliberava di acquistare per 35.000 lire, dopo le favorevoli trattative concluse con il Ministero delle Finanze, il piccolo fabbricato adiacente la Cavallerizza e l’area antistante il Museo di Antichità per tracciarvi, dopo gli opportuni lavori di demolizione, una nuova strada, che verrà intitolata a Luigi Pigorini (1842-1925), archeologo e paleontologo di fama mondiale, direttore del Museo fra il 1867 e il 1875.

9. Il progetto della Centrale del Latte di Parma, redatto da Carlo Brizzolara e approvato il 25 settembre 1933, è conservato in Archivio Storico Comunale (d’ora in avanti ASCPR), Licenze di fabbrica, 1933/462. Nel 1940 (Lic. Fabb. 1940/287) veniva allestito il punto vendita e nel 1943 (Lic. Fabb. 1943/5) il fumaiolo. Cfr. G. BASTONI, La centrale del latte di Parma, «Crisopoli», n. 4 (1934), pp. 349-356.

10. Delibera C. Comunale 22.01.1927.

11. Del vecchio borgo Romagnosi, già detto di San Quirino dalla chiesa ancor oggi visibile sul fondo, intitolato nel 1893 al famoso filosofo salsese che qui aveva avuto dimora, non rimane che una nota fotografia di Marcello Pisseri, scattata in una piovosa giornata d’autunno e conservata presso l’ASCPR.

12. Questo ponte, che sostituiva i precedenti manufatti, era stato eretto per volontà di Pier Luigi Farnese duca di Parma che ne aveva affidato la costruzione nel 1547 a Benedetto Zaccagni, architetto nativo di Torchiara, e a Francesco Testa, già al servizio di papa Paolo III, i quali furono anche «deputati super demolitione e restauratione domorum super ponte coperto lapidum civitati Parmæ». Demolite alcune delle case sorte sulle arcate del vecchio ponte ormai interrato, perché ostruivano la via Emilia, innalzarono un nuovo ponte, di cinque arcate, lungo 86 m e largo 8 m, a onor del vero ben più solido dei precedenti, tanto che resistette alle acque del torrente fino al 1933. In quell’anno fu il piccone a farne giustizia, per sostituirlo con l’attuale, molto più largo e maggiormente idoneo a sostenere il crescente traffico, voluto dal regime fascista nell’ambito del progetto di ammodernamento delle infrastrutture cittadine.

13. Oggi alcuni di questi progetti scartati (Imprese Frasnedi e Impresa Vescovi) sono conservati presso l’ASCPR (Cubo 1, cass. 17.1.S),  dove però non è stato possibile reperire il progetto vincitore della gara di appalto, noto attraverso due cartoline riproducenti i prospetti del viadotto. La realizzazione del ponte, secondo il capitolato redatto dall’Ufficio tecnico comunale, venne deliberata dall’Amministrazione con atto n. 10 del 18 luglio 1931. Il progetto Aureli venne approvato con atto n. 19 del 17 marzo 1932. I lavori iniziarono il 19 maggio 1932. Il 12 febbraio 1933 venne completato il nuovo ponte di ampliamento (lato Sud) destinato a garantire il transito durante la successiva demolizione del vecchio manufatto e il suo rifacimento, completato il 27 ottobre 1933 con l’installazione dei vari servizi (tram, acqua, gas, condotte elettriche, cavi telefonici). Il costo complessivo dell’opera fu di 1.301.016,69 lire come si evince dalla relazione finale dell’Ingegnere Capo del Comune, Giovanni Uccelli.

14. Cfr. Ponte Dux, già ponte di Mezzo sul torrente Parma, «Parma», n. 1 (1933), p. 241; Il ponte Dux, «Aurea Parma», n. 18 (1934), p. 40; FERRUTIUS [F. BOTTI], Documenti inediti sull’allargamento di via Mazzini e del ponte di Mezzo, «Gazzetta di Parma», 17 maggio 1954, p. 3.

15. Viale Rustici ha una lunghezza di 1130 m; viale Basetti 420 m; viale Toscanini 400 m; viale Mariotti 340 m; viale Zanardelli, oggi IV Novembre, 410 m. Il viale, che ha una larghezza media di 18 m (ma viale Rustici raggiunge i 22 m, mentre viale Mariotti arriva appena a 15 m) è stato progettato con una carreggiata di 9 m e due marciapiedi laterali, di cui, quello verso il torrente, sempre alberato, mentre quello interno solo nei viali Rustici e Basetti.

16. Cfr. Le due città. Parma dal dopoguerra al fascismo (1919-1926), a cura di R. Montali, Parma, Silva, 2008, pp. 95-98.

17. Sulla figura del Venerabile Padre Lino Maupas (1866-1924), Apostolo della Carità a Parma dal 1893 al 1924, si veda E. BEVILACQUA, I fioretti di frate Lino, Torino, SEI, 1926.

18. Cfr. «Aurea Parma», n. 5 (settembre-ottobre) 1928, p. 125.

19. Sul risanamento dell’Oltretorrente cfr. G. CAPELLI, Parma contemporanea, dall’unità d’Italia ai nostri giorni, in Parma la città storica, a cura di V. Banzola, Parma, Silva per Cassa di Risparmio, 1978, pp. 304-307; F. MORINI, Parma in camicia nera, Parma, Zara, 1987, pp. 133-143.

20. Vennero abbattuti i borghi Corridoni e Parente, Carra, Salici, Cappuccini, Minelli, San Basilide, Grassani e Borgaccio e i vicoli Carra, San Felice e Minelli.

21. Il progetto iniziale prevedeva anche la costruzione di un nuovo ponte sul torrente in corrispondenza di viale Corridoni (oggi via 82 Giancarlo Gonizzi  della Costituente), poi non realizzato perché si preferì impiegare le risorse per ampliare il ponte di Mezzo.

22. M. MANTOVANI, Il risanamento dell’Oltretorrente, «Gazzetta di Parma», 18 novembre 1928, pp.1-2.

23. A. Minardi, «La fiamma», 15 novembre 1941, p. 52.

24. La legge 21 giugno 1928 prevedeva che lo Stato, tramite la tesoreria provinciale, versasse al Comune nell’arco di otto anni, dal 1928 al 1936, le somme necessarie per il saldo delle note di spesa a fronte della produzione di stati di avanzamento e di rogiti di esproprio. Il Comune di Parma, da parte sua, era tenuto a versare allo Stato un rimborso annuo senza interessi pari alla somma di circa 465.000 lire per un arco di trent’anni (1928-1958).

25. A Parma l’Istituto era sorto nel 1926 con delibere del Comune 3 marzo e 26 maggio e riconosciuto con R.D. 15 luglio n. 6413 pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 30 agosto 1926, n. 201. Per una  storia dell’attività dell’Istituto Case Popolari a Parma in quel periodo cfr. G. UCCELLI, I fabbricati dell’istituto Autonomo delle Case Popolari, «Crisopoli», n. 4, 1934, pp. 331-336. Sulla tipizzazione della casa popolare cfr. E. ZANOTTI, L’edilizia popolare a Parma negli anni Venti: dalle case economiche dell’architetto Enrico Del Debbio alla fondazione dello IACP, «Aurea Parma», n. 2, 2005, pp. 239-250.

26. In ogni fabbricato risiedeva un custode alle dipendenze dell’ECA che assisteva gli inquilini con distribuzione di sussidi, abbigliamento, alimentari. Gli affitti erano di 60 centesimi al mese per un vano e di una lira per due.

27. Ultimo in ordine di tempo Damiano Ferretti, autore di una Tesi di Laurea presso la Facoltà di Lettere discussa col prof. Daniele Marchesini. Cfr. D. FERRETTI, “Capannoni”, il ghetto dedlà da l’acqua, «Gazzetta di Parma», 18 ottobre 2010, p. 5 che, fra le varie inesattezze, confonde le case popolari costruite in Oltretorrente (e ancor oggi abitate) con i “Capannoni”.

28. Secondo una statistica ufficiale fornita dell’Ufficiale Sanitario del Comune di Parma, dott. Luigi Mazza, nel 1938 la mortalità generale del quartiere era dell’11,19% contro l’11,05 dell’intera città e l’incidenza della tubercolosi era nel quartiere dello 0,74% contro un valore cittadino dello 0,82%. I dati, per quanto troppo vicini ai lavori fatti in Oltretorrente, da non essere infl uenzati da logiche di propaganda, se confrontati con i dati riportati da «Aurea Parma» dieci anni prima (vedi nota 18) consentono di cogliere un miglioramento reale delle condizioni sanitarie nel quartiere. Cfr. F. MORINI, Parma in camicia nera…, cit., p. 143.

29. Cfr. F. SICURI, Il rosso e il nero. La politica a Parma dal dopoguerra al fascismo (1919-1925), in Le due città. Parma dal dopoguerra al fascismo, Parma, Silva, 2008, p. 42.

30. Cfr. G. GONIZZI, I luoghi della storia. Atlante topografico parmigiano, III, Parma, PPS, 2002, pp. 93-94, 108-109. Progetto in ASCPR, Atti non repertoriati, C. 51 A 100, vol. 4, n. 92c.

31. Sull’albergo diurno Cobianchi cfr. G. BARACCHI, E. TERENZANI,
L’albergo diurno Cobianchi a Parma 1929-1966, Parma, Parma Nostra, p. 199; C. PROSPERINI, Le città sotterranee di Cleopatro Cobianchi. Architettura e igiene tra le due guerre, Pisa, Edizioni ETS, 2003, pp. 36-44.

32. La costruzione della fognatura cittadina era iniziata nel 1921 sul progetto dell’ing. Felice Poggi, apprezzato estensore di numerose reti fognarie italiane – da Milano a Piacenza, da Varese a Vercelli – e proseguirà per un decennio fra notevoli difficoltà. Cfr. F. POGGI, Progetto della fognatura (Città di Parma): relazione tecnica, Milano, Vallardi, 1921; G. UCCELLI, La nuova fognatura di Parma, «Crisopoli », II, 1935 e III, 1935, pp. 236-239.

33. La sua funzione era – e rimane – duplice: mantenere costante la pressione dell’acqua nella rete idrica cittadina e svolgere un’azione “di compenso”. Poiché l’acqua viene accumulata in un serbatoio eretto a 30 m dal livello stradale, questa riceve una pressione costante pari a circa tre atmosfere, valore che consente di rifornire anche gli edifici più alti (purché non superiori al serbatoio stesso). Contemporaneamente l’acqua che si trova nel serbatoio va a integrare quella proveniente dai pozzi negli orari di maggior richiesta e si accumula nuovamente la notte, quando è minore il consumo. Cfr. G. GONIZZI, I luoghi della storia. Atlante topografico parmigiano, II, Parma, PPS, 2001, pp. 202-203.

34. I progetti del “fungo” e dell’intervento di ampliamento dell’acquedotto cittadino sono conservati in ASCPR, Carteggio, 1929-1934 – Az. Speciali, b. 2316.

35. Il “Ponte Nuovo”, costruito con il contributo dell’Amministrazione Provinciale sul torrente Baganza, poco a valle dello storico ponte della Navetta, collega con cinque campate via Po con piazzale Fiume. Progettato dal’ingegner Ugo Pescatori, costò, nel 1930, 500.000 lire ma dovette attendere il 17 luglio 1951 perché la Giunta comunale deliberasse la sua denominazione, mutata solo in tempi recenti in “Ponte dei Carrettieri” (Delibera Giunta Comunale 1135, 8.9.2005).

36. La città contava allora 72.000 abitanti, distribuiti in 17.512 famiglie concentrate in 3.920 fabbricati. La produzione giornaliera di immondizia – composta per oltre il 90% di materiali organici – era calcolata dal capitolato d’appalto in 72 metri cubi, pari a 310 litri annui per abitante (meno di un quinto rispetto agli anni Ottanta del Novecento), con un costo – enorme per l’epoca – di 810.000 lire annue, sproporzionato rispetto alle entrate effettive del servizio.

37. Cfr. G. GONIZZI, I luoghi della storia. Atlante topografico parmigiano, II, Parma, PPS, 2001, pp. 233-240, con bibliografia precedente.

38. Il servizio di pulizia urbana presso le abitazioni, «Parma», I, 1933, pp. 95-100.

39. Il servizio poteva davvero considerarsi di primissimo livello: prevedeva l’energico lavaggio automatizzato interno ed esterno dei recipienti, la loro disinfezione con creolina e il ritiro bisettimanale presso le abitazioni.

40. La Commissione, presieduta da Guido Marussig (1885-1972), direttore dell’Accademia di Belle Arti, era formata dal presidente della Commissione comunale di edilizia, ing. Ferdinando Triani, dal presidente dell’Associazione della proprietà edilizia, Vittorio Stevani, dall’ingegnere capo del Comune, Giovanni Uccelli, dal capo reparto strade del Comune, ing. Marco Monguidi, dall’arch. prof. Erberto Carboni (1899-1984), dallo scenografo prof. Giuseppe Carmignani (1871-1943), dall’ing. Gino Gainotti, dall’arch. prof. Gino Robuschi (1893-1969) e dall’ing. prof. Giuliano Rossini.

41. Per un’analisi approfondita dei piani regolatori cittadini di questo periodo, cfr. G. CAPELLI, Parma contemporanea… cit., pp. 307-315.

42. Si registrano in questo periodo la costruzione della Galleria Sud-Est nel 1931, probabilmente su disegno di Angelo Bay, e del Campo perimetrale Nord, nel 1933, su progetto di Moderanno Chiavelli (1869-1962).

43. G. CAPELLI, Parma contemporanea… cit., p. 308.

44. Il piano, ripresentato con alcune varianti, venne approvato dal Comune l’8 aprile 1936, perfezionato il 1° maggio 1937 e approvato con R.D. legge 13 settembre 1938, n. 1777. Qualche mese dopo era convertito nella legge 30 gennaio 1939 n. 405.

45. Cfr. Relazione sulle sistemazioni di zone urbane e suburbane della città e del Comune di Parma studiate dalla Commissione straordinaria di urbanistica, «Crisopoli», n. 6 (1934), pp. 527-550.

46. E. DEL DEBBIO, Progetti di costruzioni. Case Balilla, palestre, campi sportivi, piscine…, Roma, Opera Nazionale Balilla, 1928, 175 cc, 128 tavv.

47. C’era una volta un campo…, Parma, Supergrafica, 2000, pp. 15-23.

48. Sulle vicende progettuali e costruttive della Casa del Balilla, cfr. Casa del Balilla, «Crisopoli», n. 5 (1934), pp. 434-436; C’era una volta un campo…, cit., pp. 15-23; G. GONIZZI, I luoghi della
storia. Atlante topografico parmigiano, III, Parma, PPS, 2002, pp. 188-197; e gli atti ufficiali: ASCPR, Fabbriche, 1932-1934. Progetto Giovanni Uccelli, 1932; ASCPR, Fondo Mappe e Disegni. Progetto arch. Gino Robuschi e ing. Giuliano Rossini, 1934; ASCPR Fondo Disegni. Progetto arch. Leone Carmignani e ing. Giovanni Uccelli, 1933-1934; ASCPR, Contratti, vol. 98, 1933. Appalto ed esecuzione della Casa del Balilla.

49. Il progetto è conservato presso l’ASCPR di Parma, Cubo 8, cass. 5.5.

50. La sfilata di 6000 giovanissimi davanti a Renato Ricci, «Corriere Emiliano», 21 ottobre 1934, p. 3; S.E. Renato Ricci inaugura la “Casa del Balilla”, «Corriere Emiliano», 23 ottobre 1934, p. 3, con foto.

51. S.E. Renato Ricci inaugurerà oggi la “Casa del Balilla”, «Corriere
Emiliano», 21 ottobre 1934, p. 3, con assonometria del nuovo complesso, foto facciata, ingresso, tribune piscina.

52. Casa del Balilla, «Crisopoli», n. 5 (1934), pp. 434-436.

53. I progetti comprensivi dei prospetti e delle proposte di arredo degli ambienti e un servizio fotografico di Marcello Pisseri sono conservati presso l’ASCPR (Cubo 6, Cass. 5.6).

54. Sulle vicende della Pietà cfr. M. PELLEGRI, Anche Parma ha la sua “Pietà”, «Gazzetta di Parma», 16 maggio 2005, p. 5; Opere scelte dalle collezioni dell’Istituto Statale d’Arte “Paolo Toschi”, a cura di I. Leoni, Parma, Istituto d’Arte, 2009, pp. 28-31 con relativa bibliografia.

55. La villa, caratterizzata da un corpo centrale sovrastato dalla tradizionale “altana” e da due corte ali laterali e circondata da un ampio parco di alberi secolari, con fontane e teatro all’aperto, era stata antica residenza dei conti Scotti dalla fine del XVII secolo, successivamente del poeta Angelo Mazza (1741-1817), poi della famiglia Mazza-Poldi e quindi dei Serventi fino al 1928, anno in cui
veniva trasformata in clinica privata dall’eminente medico prof. Francesco Fabris.

56. L. MARMIROLI, La banca di Ponte Dattaro: il centro amministrativo elettronico della Banca Commerciale Italiana, Parma, Silva, 1996.

57. L’ASCPR conserva un album (Cubo 6, cass. 5.2) con il servizio fotografico dell’evento

58. Il progetto è conservato in ASCPR, Licenze di fabbrica, 1939/317.

59. Il boom della sua attività si avrà, tuttavia, dopo la guerra, a partire dal 1946. L’istituzione esiste ancora ed è il centro analitico principale per il Parmigiano Reggiano in provincia di Parma e uno dei principali del comprensorio di produzione. Sulla sua storia e attività cfr. L. ZANNONI, Il centro lattiero caseario: mezzo secolo di storia 1949-1999, Parma, Cassa di Risparmio, 1999; L. ZANNONI, Il centro lattiero caseario: mezzo secolo e più di storia, «Parma Economica », n. 3 (2002), pp. 79-86.

60. Sulla genesi della Mostra delle Conserve cfr. Anni di latta, a cura di G. Gonizzi, Parma, STEP per Fiere di Parma, 1995, pp. 35-62.

61. Sulla figura di Francesco Emanuele, cfr. G. GONIZZI, Fantasia e imprenditorialità. Francesco Emanuele e i progetti per il comparto conserviero parmense, «Parma Economica», n. 3 (2000), pp.
49-90.

62. La documentazione e i progetti, anche relativi al Padiglione B realizzato nel 1942 su progetto di Gino Robuschi, sono conservati in ASCPR, Carteggio, 1937-1943 – Industria, Mostra Conserve,
b. 2494.

63. Cfr. al riguardo M. PELLEGRI, Parma 1943-1945. Le ferite della guerra e la rinascita della città, Parma, MUP, 2006.


BIBLIOGRAFIA
G. SITTI, Parma nel nome delle sue strade, Parma, Fresching, 1929.
G. BIGI, Evoluzione urbanistica del centro storico di Parma negli ultimi due secoli e piani regolatori cittadini (1767-1963), Parma, La Nazionale, 1972.
Parma la città storica, a cura di V. Banzola, Parma, Silva per Cassa di Risparmio, 1978.
G. GONIZZI, I luoghi della storia. Atlante topografico parmigiano, III voll., Parma, PPS, 2000-2002.
R. LASAGNI, Dizionario biografico dei Parmigiani, IV voll., Parma, PPS, 1999.

 
 
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